Società con immobile svalutato non operativa se non supera il test Nel test dei ricavi occorre assumere il costo fiscale e non il valore di mercato

Con la risposta a interpello n. 53 di ieri, 27 febbraio 2024, l’Agenzia delle Entrate ha negato la disapplicazione della disciplina delle società non operative (art. 30 della L. 724/94) in relazione a una società immobiliare che, con riferimento al periodo di imposta non solare 2021-2022, non aveva superato il test dei ricavi.

Nell’ambito dell’istanza di interpello probatorio venivano avanzate diverse questioni legate alla fase di congiuntura negativa che il settore immobiliare aveva attraversato nel periodo interessato ma, ad avviso dell’Amministrazione finanziaria, la società contribuente non aveva fornito idonea prova di come tali circostanze avessero influenzato negativamente il test di operatività.

La prima questione attiene al valore dell’immobile da assumere ai fini dell’applicazione delle percentuali di legge. La società evidenzia come l’assunzione del costo fiscalmente riconosciuto di cui all’art. 110 comma 1 del TUIR, normativamente prevista, comporti un risultato irrealistico se confrontato con il valore di mercato derivante dalla perizia di stima. L’Agenzia esclude la bontà di tale argomentazione, ritenendo necessario dimostrare come il minor valore di mercato abbia influito sull’inattendibilità dei ricavi minimi.

L’Agenzia ritiene inoltre insufficiente, ai fini della disapplicazione delle penalizzazioni, la motivazione legata alla sussistenza di condizioni di mercato sfavorevoli; la società non aveva infatti prodotto la documentazione idonea a provare l’asserita crisi, le sue connotazioni (cronologiche, territoriali e dimensionali) e i riflessi in concreto avuti sulla società.
Avendo riguardo poi alla crisi pandemica che avrebbe impedito di locare le unità immobiliari libere, l’Amministrazione finanziaria nota come queste ultime si trovassero allo stato rustico e non fossero state mai locate fin dalla loro costruzione.

Per quanto concerne invece l’impossibilità di modificare i canoni delle unità locate, l’Agenzia osserva come tale argomentazione, individuata dalla stessa Amministrazione nella circ. n. 44/2007 (§ 2.5), riguarda il caso in cui una società subentra in un contratto di locazione, con la conseguenza che il canone pattuito non è riconducibile alla volontà del contribuente subentrante.

Nel caso di specie, però, non si trattava di subentro in un contratto di locazione di un immobile in corso alla data di acquisizione dello stesso, in quanto il proprietario-locatore era rimasto il medesimo, sebbene fosse stata modificata la compagine societaria, fatto di per sé non sintomatico di una diversa volontà nella conclusione dei contratti.
Non è stata inoltre dimostrata l’impossibilità di praticare canoni di locazione sufficienti a superare il test, ovvero, osserva l’Agenzia, almeno pari a quello di mercato secondo quanto determinato con le quotazioni OMI (circ. n. 44/2007, § 2.6 e 2.7).

L’istanza presentata all’Agenzia pone, in particolare, la questione per cui i valori da assumere ai sensi dell’art. 30 della L. 724/94 ai fini della determinazione dei ricavi e del reddito minimi possono, come nel caso prospettato, non riflettere il valore di mercato del bene.
La problematica deriva dal fatto che il costo fiscalmente riconosciuto di cui all’art. 110 comma 1 del TUIR non tiene conto di eventuali svalutazioni effettuate ai fini civilistici in modo obbligatorio, se la perdita ha carattere durevole.

Il ragionamento è, di per sé, semplice: se la normativa in esame tende ad addossare alla società, con un meccanismo presuntivo, un reddito minimo parametrato al possesso di elementi patrimoniali “indice”, questi ultimi dovrebbero essere pesati in ragione di un valore che ne esprime la potenzialità economica. Se questa potenzialità economica viene meno per effetto della perdita di valore dell’immobile (dato espresso dal bilancio), sarebbe il valore di bilancio, e non il costo fiscalmente riconosciuto (che rimane tale anche a fronte della svalutazione per perdita durevole) a rappresentarla in modo più consono.

Ovviamente ciò avrebbe una sua contropartita nell’elevare il dato dei ricavi presunti per immobili rivalutati ai soli fini civilistici; vi sarebbe, poi, il problema delle società in contabilità semplificata, prive di bilancio d’esercizio.
Il risultato di consentire ai valori di bilancio di esprimere la reale potenzialità economica del bene potrebbe in tale contesto essere ottenuto con un intervento ad hoc da parte del legislatore delegato.

La legge di riforma fiscale (L. 111/2023) prevede, all’art. 9 comma 1 lett. b), la revisione della disciplina delle società di comodo ponendo l’accento, tra l’altro, sull’individuazione di nuovi parametri, da aggiornare periodicamente, che consentano di individuare le società senza impresa. Non è chiaro come tale linea direttiva sarà declinata, ma in tale contesto potrebbe essere opportuno superare la problematica evidenziata ad esempio prevedendo disposizioni ad hoc per le immobiliari che sono state costrette a svalutare i propri attivi, per le quali il ricorso al valore di bilancio risolverebbe il problema in modo semplice e oggettivo.

Fonte Eutekne – di Luisa Corso