Niente retribuzione per i dipendenti di esercizi commerciali obbligati alla chiusura

Si realizzano i presupposti dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per motivi oggettivi: al lavoratore non è dovuta la retribuzione

I provvedimenti adottati dal Governo per fronteggiare il diffondersi del virus COVID-19 ed in particolare il DPCM 11 marzo 2020 (si veda “Da oggi chiusura per tutte le attività commerciali non essenziali” di oggi) stanno portando alla chiusura temporanea di numerosi esercizi commerciali.

In attesa che il Governo adotti i promessi provvedimenti sulla Cassa integrazione in deroga, che dovrebbero essere contenuti nel prossimo decreto legge la cui approvazione è prevista entro fine settimana, è opportuno interrogarsi sulle conseguenze di tali chiusure per i dipendenti che lavorano presso gli esercizi commerciali che vengono chiusi, perché è difficilmente praticabile per loro la soluzione dello smart working, che al momento consente a molti dipendenti addetti a mansioni impiegatizie di continuare a lavorare, e non è detto che questi lavoratori abbiano ferie di cui possano e vogliano fruire.

La questione deve, però, essere trattata distinguendo due diverse tipologie di esercizi commerciali, a seconda che la chiusura sia obbligatoria o frutto di una scelta imprenditoriale.
Per le attività la cui chiusura sia imposta dalle disposizioni di un DPCM, come ad esempio un cinema, un teatro od una sala giochi, non vi sono dubbi sul fatto che i dipendenti possano essere sospesi dal rapporto di lavoro, senza diritto alla retribuzione, fino a quando perdurerà il divieto imposto dall’autorità. La sospensione unilaterale del rapporto da parte del datore di lavoro è in questo caso giustificata e realizza i presupposti dell’impossibilità sopravvenuta della prestazione lavorativa per motivi oggettivi, che giustifica il mancato pagamento della retribuzione, sulla base delle disposizioni di carattere generale di cui agli artt. 1218 e 1256 c.c.

Analoghe considerazioni valgono per quegli esercizi che, anche nel periodo in cui era ancora possibile la loro apertura, non erano nelle condizioni oggettive di rispettare la distanza minima di un metro tra gli avventori, come ad esempio il caso di un piccolo bar, predisposto a rendere solo il servizio al banco. Anche in questo caso, evidentemente, la chiusura discenderebbe da condizioni oggettive che non consentono la prosecuzione dell’attività fino a quando perdureranno i divieti introdotti dal Governo.

Un discorso diverso vale, invece, per quegli esercizi commerciali che hanno chiuso o chiuderanno per scelta, dettata evidentemente da una situazione che rende assolutamente antieconomico proseguire nell’attività fino a quando perdureranno le limitazioni alla circolazione delle persone introdotte per contenere il contagio del virus COVID-19.
In questo caso, infatti, occorre stabilire se la sospensione unilaterale disposta dal datore di lavoro sia giustificata e come tale lo esoneri dall’obbligazione retributiva.

Sul punto la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di esprimersi, affermando anche di recente che la sospensione è legittima soltanto quando non sia imputabile al datore di lavoro, non sia prevedibile ed evitabile e non sia riferita a carenze di programmazione o di organizzazione aziendale ovvero a contingenti difficoltà di mercato (Cass. n. 14419/2019). Sempre secondo la Corte in questi casi non è necessario che il dipendente “sospeso” provi di aver messo a disposizione le sue energie lavorative nel periodo in contestazione, in quanto, per il solo fatto del rifiuto datoriale di ricevere la prestazione, che realizza un’ipotesi di “mora credendi”, il dipendente conserva il diritto alla retribuzione.

Le caratteristiche della situazione che si è venuta a creare in questi giorni, che non può certo essere paragonata ad una contingente difficoltà di mercato, visto il carattere eccezionale degli avvenimenti che stiamo vivendo, rende discutibile che la sospensione possa essere considerata imputabile al datore di lavoro e che, di conseguenza, il lavoratore mantenga il diritto alla retribuzione quando la chiusura dell’esercizio commerciale sia frutto di una scelta non imposta dai provvedimenti dell’autorità di cui si è detto.

Le incertezze sulle conseguenze della temporanea interruzione dell’attività sul piano retributivo, destinate a riguardare un numero di lavoratori in progressivo aumento, nel protrarsi dell’attuale situazione, rendono a maggior ragione necessario che l’intervento in tema di ammortizzatori sociali che il Governo si appresta ad approvare sia di ampia portata, così da garantire a tutti i lavoratori dipendenti il mantenimento di un reddito.

Eutekne – di Luca Negrini